Frammenti di Tokyo #4: Rockstar

Mi sono appena seduta.
Giacche e cravatte sono allineate di fronte a me, appiccicate, ammassate. Teste chine e il solito silenzio sottolineato dal rumore sommesso delle rotaie. Ogni tanto qualche scossone improvviso e tutti i corpi oscillano simultaneamente, come un'onda.
Quasi non si respira nel treno.

Di fronte a me noto una mano muoversi. Un movimento ritmico e preciso, su e giù.
Il proprietario della mano sta suonando una chitarra immaginaria. Non il goffo movimento di chi non ha mai toccato uno strumento in vita sua, ma l'esperta riproduzione, l'esercizio. Alzo lo sguardo per un attimo: lui ha gli occhi chiusi e indossa un paio di cuffie. Non credo abbia più di quarant'anni. Non c'è niente nel suo aspetto, nessun minimo particolare che lo distingua dagli altri 60 salaryman pressati attorno a lui nella carrozza in questo momento. Per chiunque lo guardi lui è solo un'altra ventiquattr'ore consumata, un'altra cravatta sporca di ramen, un'altra espressione assente sul treno. Un'altra macchiolina nera sulla città, che ogni mattina si trascina sbadigliando verso qualche ufficio.

Ma io lo so, vorrei dirgli, io ho visto.
Mi chiedo dove sia davvero, in questo momento. Sul palco di qualche livehouse dei distretti alternativi? Al Tokyo Dome a fare assoli assieme a Mick Jagger? Oppure nella sua sala prove mentre spiega il nuovo riff al bassista?

Abbasso lo sguardo, perché non ho nessuna intenzione di vedere la delusione sulla sua faccia quando aprirà gli occhi.



2 rockers:

  1. magari non ci sarebbe stata nessuna delusione, era semplicemente perso nella sua musica, senza sogni di gloria. E quella cosa non te la porta via niente, nemmeno aprire gli occhi.
    Ma nel dubbio hai fatto bene, ed è molto poetico, anche se un pò triste.

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